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Acrilonitrile Butadiene Stirene (ABS)

L’acrilonitrile-butadiene-stirene o ABS (formula chimica (C8H8• C4H6•C3H3N)n) è un comune polimero termoplastico utilizzato per creare oggetti leggeri e rigidi come tubi, strumenti musicali (soprattutto il flauto dolce ed il clarinetto), teste di mazze da golf, parti o intere carrozzerie automobilistiche, come nella Citroën Méhari, e giocattoli come i famosi mattoncini della LEGO, oltre che come contenitore per assemblaggi di componenti elettrici ed elettronici ed a essere impiegato nella costruzione di alcune armi da softair. Nel campo dell’idraulica i tubi in ABS sono di colore nero, mentre quelli di PVC sono di colore bianco, arancione o grigio.
L’ABS è un copolimero derivato dallo stirene polimerizzato insieme all’acrilonitrile in presenza di polibutadiene, e perciò può essere definito come terpolimero. Le proporzioni possono variare dal 15% al 35% di acrilonitrile, dal 5% al 30% di butadiene e dal 40% al 60% di stirene. I granuli di plastica in ABS della dimensione minore di 1 micrometro vengono utilizzati negli inchiostri per i tatuaggi poiché hanno la caratteristica di essere particolarmente vividi. L’ABS trova grande applicazione nella realizzazione di prodotti mediante l’utilizzo di macchine di prototipazione rapida che utilizzano tecniche produttive quali la FDM (Fused Deposition Modeling).

Cloruro di Polivinile (PVC)

Il cloruro di polivinile, noto anche come polivinilcloruro o con la corrispondente sigla PVC, è il polimero del cloruro di vinile. È il polimero più importante della serie ottenuta da monomeri vinilici ed è una delle materie plastiche di maggior consumo al mondo. Puro, è un materiale rigido; deve la sua versatilità applicativa alla possibilità di essere miscelato anche in proporzioni elevate a composti inorganici e a prodotti plastificanti, quali ad esempio gli esteri dell’acido ftalico, che lo rendono flessibile e modellabile. Viene considerato stabile e sicuro nelle applicazioni tecnologiche a temperatura ambiente, ma estremamente pericoloso se bruciato o scaldato ad elevate temperature e in impianti inidonei al suo trattamento per via della presenza di cloro nella molecola, che può liberarsi come acido cloridrico, come diossina, o come cloruro di vinile monomero. Sebbene sia una plastica riciclabile (codice SPI – resin identification coding system 3), il PVC viene recuperato solo parzialmente per via degli alti costi di trattamento. In sviluppo vi è la tecnica Vinyloop. Al termine delle reazioni di polimerizzazione si presenta come polvere o come granulato bianco; la densità è generalmente 1,40-1,45 g/cm³. Risulta essere molto sensibile alla luce ad al calore; questi hanno su di esso un effetto degradativo che si manifesta dapprima con l’ingiallimento e (a temperature più elevate, di circa 180 °C) con la decomposizione dalla quale si libera acido cloridrico, per questa ragione viene pertanto stabilizzato. Il PVC plastificato, ovvero addizionato di additivi plastificanti che ne aumentano la morbidezza, è abitualmente stabilizzato con l’aggiunta di formulati contenenti soprattutto sali di calcio (stearato, ricinoleato), bario e zinco. Il PVC rigido viene abitualmente stabilizzato con derivati organometallici dello stagno, con saponi di piombo o di calcio e zinco. In passato sono stati usati anche carbossilati di cadmio, abbandonati in Europa per via della tossicità di questo metallo. I derivati del cadmio sono ancora usati al di fuori dell’Unione Europea.

Etilene Vinil Acetato (EVA)

L’etilene vinil acetato (spesso indicato con la sigla EVA) è una materia plastica copolimerica di etilene e acetato di vinile. È utilizzato per realizzare prodotti particolarmente flessibili ed elastici. Trova impiego industriale nella modifica delle proprietà elastiche del bitume. Nella produzione di pannelli solari fotovoltaici vengono usati fogli di EVA per sigillare il tutto. Le celle assemblate in stringhe e connesse in serie, vengono racchiuse fra due fogli di EVA a formare una sorta di sandwich; poi il pannello solare fotovoltaico ancora diviso in molti strati: Vetro + EVA + celle + EVA + Foglio posteriore (Back sheet), viene sottoposto ad un processo termico sottovuoto, chiamato laminazione, che portando l’EVA a temperature superiori a 150 °C per tempi di circa 10 minuti, permette la polimerizzazione dell’EVA e così incapsula tutto ed isola il tutto dall’aria, garantendo così un tempo di vita molto lungo. Un altro esempio di utilizzo è dato dal designer Forrest Jessee che con questo materiale ha progettato e realizzato una tuta del sonno, la “Sleep Suit” capace di sostenere e proteggere il corpo in situazioni scomode.

Gomma Naturale

Il caucciù (o gomma naturale o poliisoprene naturale) è un materiale idrocarburico polimerico ottenuto dall’estrazione del lattice di alcune piante; un esempio particolare è quello ottenuto attraverso il procedimento di coagulazione del lattice estratto dall’Hevea brasiliensis. Il termine “caucciù” è l’italianizzazione per adattamento linguistico del corrispondente termine francese caoutchouc. La produzione era solo da piante selvatiche del bacino del Rio delle Amazzoni e la grande richiesta portò ricchezza a pochi speculatori che sfruttavano masse di disperati che si occupavano della raccolta del lattice in condizioni proibitive. Con l’avvio di piantagioni nel Sud-Est asiatico la raccolta del caucciù spontaneo crollò, salvo brevi parentesi, come durante la seconda guerra mondiale. Fu tentata la coltivazione dell’Hevea anche in Africa, ma i risultati si sono rivelati più modesti. Fu portato per la prima volta in Europa da Charles Marie de La Condamine nel 1736.

Gomma Sintetica

La gomma è un materiale caratterizzato dalla possibilità di essere allungato notevolmente e poter tornare rapidamente alla lunghezza iniziale quando cessa l’azione che ne aveva causato l’allungamento (in altre parole è un materiale dotato di elevata elasticità). La gomma è costituita da sostanze chimiche chiamate “elastomeri”; tali sostanze determinano il comportamento elastico delle gomme; gli elastomeri sono costituiti da molecole di elevatissima lunghezza, che sono quindi delle “macromolecole” (in particolare ciascuna macromolecola ha un peso molecolare di alcune decine di migliaia di unità di massa atomica); tali macromolecole in condizioni di riposo sono ripiegate su loro stesse, mentre se sottoposte a trazione sono capaci di distendersi, per poi riprendere la configurazione originaria al cessare della sollecitazione. A differenza delle macromolecole dei polimeri termoplastici, le macromolecole che compongono la gomma hanno un certo grado di reticolazione, cioè le macromolecole non hanno una struttura “filiforme”, ma più “intrecciata” (come una rete), e questo permette alle macromolecole di essere vincolate a muoversi attorno a dei “punti fissi” (i “nodi” della rete), in modo da ripristinare la configurazione antecedente alla sollecitazione. Talvolta il termine “gomma” viene utilizzato per indicare lo pneumatico, che invece è un particolare utilizzo della gomma.

Gomma Termoplastica (TPE)

Gli Elastomeri Termoplastici (TPE), o gomme termoplastiche, sono una classe di copolimeri ovvero una miscela polimerica (di solito una plastica e una gomma) con entrambe le proprietà termoplastiche e elastomeriche. Mentre la maggior parte degli elastomeri sono termoindurenti, i TPE sono invece relativamente facili da usare nella produzione, per esempio, attraverso lo stampaggio ad iniezione. Gli elastomeri termoplastici mostrano i vantaggi tipici sia delle plastiche che delle gomme. La principale differenza tra gli elastomeri termoindurenti e gli elastomeri termoplastici è il tipo di reticolazione delle loro strutture. Infatti, la reticolazione è un fattore strutturale fondamentale che contribuisce a conferire le elevate proprietà elastiche. Gli elastomeri termoplastici hanno la caratteristica di essere riciclabili in quanto possono essere stampati, estrusi e riusati come la plastica, ma hanno anche le tipiche proprietà elastiche della gomma, che invece non è riciclabile a causa delle sue caratteristiche termoindurenti. I TPE possono facilmente essere colorati dalla maggior parte dei coloranti, consumano meno energia ed è inoltre possibile un controllo più economico della qualità del prodotto. I TPE vengono utilizzati quando gli elastomeri convenzionali non possono fornire la gamma di proprietà fisiche necessarie al prodotto. Questi materiali trovano un’ampia applicazione nel settore automotive e nel settore degli elettrodomestici. Sono anche ampiamente utilizzati per i cateteri in quanto i copolimeri a blocchi di nylon offrono una morbidezza ideale per i pazienti. I copolimeri a blocchi stirenici sono utilizzati nelle suole delle scarpe grazie alla facilità di lavorazione, e ampiamente come adesivi. I TPE sono comunemente utilizzati anche per le sospensioni delle boccole per applicazioni ad alte prestazioni nell’automobile grazie alla loro maggiore resistenza alla deformazione rispetto alle sospensioni di gomma. I TPE possono essere inoltre usati in prodotti destinati all’inserimento nel corpo. I TPE trovano anche ulteriori utilizzi nel rivestimento e nell’isolamento interno dei cavi elettrici, in alcuni cavi per cuffie e in molte altre applicazioni.

Poliammidi (PA)

Le poliammidi (PA) sono macromolecole caratterizzate dal gruppo ammidico CO-NH, da cui dipendono molte proprietà di questo tipo di composti. Le poliammidi possono essere sintetizzate tramite polimerizzazione per condensazione di un acido dicarbossilico e di una diammina oppure tramite polimerizzazione per apertura d’anello di un lattame. La sigla utilizzata nell’etichettatura tessile per identificare le poliammidi è “PA”.
Alle poliammidi appartengono due tipi di materiali:
• nylon: poliammidi alifatiche e semiaromatiche
• aramidi (Kevlar e Nomex): poliammidi aromatiche.
Esistono inoltre numerosi tipi di poliammidi ottenute facendo reagire tra loro le molecole più diverse che contengono le funzioni adatte alla formazione di tale legame caratteristico. Ad esempio, dal punto di vista chimico, anche le proteine sono sistemi poliammidici, poiché sono caratterizzate dal legame tra un gruppo acido -CO e un gruppo amminico -NH.

Polibutilentereftalato (PBT)

Il polibutilentereftalato (PBT) fa parte della famiglia dei tecnopolimeri, e sostituisce alcune applicazioni realizzate con resine termoindurenti o metalli. Ha una struttura cristallina ed è resistente alla maggior parte degli agenti chimici.

Policarbonato

Un policarbonato è un generico poliestere dell’acido carbonico. I policarbonati resistono agli acidi minerali, agli idrocarburi alifatici, alla benzina, ai grassi, agli oli, agli alcoli tranne l’alcol metilico e all’acqua sotto i 70 °C. Al di sopra di tale temperatura l’acqua attacca il polimero favorendo una graduale decomposizione chimica. La biodegradabilità è scarsa e richiede tempi lunghi. A seconda della polimerizzazione i policarbonati di bisfenolo A hanno pesi molecolari medi che variano tra 20 000 e 200 000. I policarbonati con pesi tra 22 000 e 32 000 vengono processati per iniezione (viscosità intrinseca [ŋ]=0,45-0,58 dL/g a 30 °C in diclorometano), mentre quelli con pesi superiori a 60 000 ([ŋ]=0,95 dL/g) hanno un’alta viscosità del fuso e devono essere processati in soluzione. Le proprietà meccaniche, quali allungamento, carico a rottura, resistenza all’urto e alla flessione, mostrano un rapido aumento con il peso molecolare fino a raggiungere un plateau per valori del peso molecolare intorno ai 22 000, peso per il quale è ancora garantita una buona lavorabilità per estrusione e stampaggio. Di fondamentale importanza ai fini delle applicazioni del policarbonato è la sua elevata tenacità. Il policarbonato è sensibile all’intaglio, con conseguente riduzione della resistenza a fatica. In caso di usura può essere impiegato solo limitatamente.
I policarbonati vengono usati nei più svariati campi di applicazione:
• nell’ottica per le lenti degli occhiali e degli obiettivi delle macchine fotografiche;
• come supporto per la registrazione ottica di informazioni digitali: CD, DVD, Blu-ray e la carta a memoria ottica;
• in elettronica, come isolante per condensatori ad alta capacità e elevata tensione di lavoro;
• nell’assemblaggio dei telefoni mobili, cellulari, smartphone, come componente fondamentale dell’involucro esterno, poco soggetto a deterioramento per caduta, escoriazione ecc…
• nel settore dei trasporti, per i caschi e per le coperture dei fanali;
• nell’edilizia, al posto dei vetri, come lastra spessa o lastra alveolare;
• nel settore militare: giubbotti antiproiettile e scudi antisommossa;
• nel settore dell’aeronautica, per i tettucci e gli oblò dei moderni aeroplani;
• nell’illuminazione elettrica, per i trasparenti (plafoniere, globi stradali ecc.).
Nel campo medico il policarbonato ha trovato largo impiego: la possibilità di sterilizzare in autoclave (poiché Tg=150 °C), o mediante raggi gamma alcuni composti a base di PC ne ha permesso l’utilizzo nelle apparecchiature per l’emodialisi artificiale e per la cardiochirurgia, per la prima infanzia e le cure domiciliari (biberon, aerosol, incubatrici). Nell’edilizia civile ed industriale i pannelli in policarbonato, grazie alla loro leggerezza, luminosità, resistenza e versatilità, vengono utilizzati per realizzare coperture e finestrature. Molto utilizzato anche per la fabbricazione di tubi estrusi e bottiglie (quest’ultima applicazione attualmente sostituita, nel campo alimentare, dal PET).

Polietilene (PE)

Il polietene (più comunemente noto come polietilene, meno spesso indicato con politene) è il più semplice dei polimeri sintetici ed è la più comune fra le materie plastiche. Viene spesso indicato con la sigla “PE”, così come ad esempio si usa “PS” per il polistirene o “PVC” per il polivinilcloruro o “PET” per il polietilentereftalato. Ha formula chimica (-C2H4-)n dove n può arrivare fino ad alcuni milioni. Le catene possono essere di lunghezza variabile e più o meno ramificate. Il polietilene è una resina termoplastica, si presenta come un solido trasparente (forma amorfa) o bianco (forma cristallina) con ottime proprietà isolanti e di stabilità chimica, è un materiale molto versatile ed una delle materie plastiche più economiche; gli usi più comuni sono come isolante per cavi elettrici, film per l’agricoltura, borse e buste di plastica, contenitori di vario tipo, tubazioni, strato interno di contenitori asettici per liquidi alimentari (“Tetra Brik Aseptic”) e molti altri. Uno degli usi classici del polietilene è la fabbricazione, mediante estrusione e successive lavorazioni, dei sacchetti comunemente detti “di plastica”, dove la plastica in questione è proprio il polietilene. Il polietilene viene inoltre impiegato per la creazione del “film estensibile” e del “film a bolle d’aria” (o pluriball).
Altri usi del polietilene sono:
• impermeabilizzazioni edili generali con geomembrana in hdpe;
• rivestimento interno di confezioni in cartone per alimenti (per esempio cartoni del latte);
• flaconi per il contenimento di detersivi o alimenti;
• giocattoli;
• pellicole alimentari;
• tappi in plastica;
• tubi per il trasporto di acqua e gas naturale;
• pellicola di rivestimento di cavi elettrici e telefonici;
• palloni stratosferici;
• mobili per il giardino (Hularo);
• inserti per protesi di ginocchio.

Polietilentereftalato (PET)

Il polietilene tereftalato o polietilentereftalato (denominazioni commerciali: Zellamid 1400, Arnite, Tecapet, Impet e Rynite, Ertalyte, Hostaphan, Melinex e Mylar films, e le fibre Dacron, Diolen, Tergal, Terital, Terylene e Trevira), fa parte della famiglia dei poliesteri, è una resina termoplastica composta da ftalati adatta al contatto alimentare. In funzione dei processi produttivi e della storia termica può esistere in forma amorfa (trasparente) o semi-cristallina (bianca ed opaca). Viene utilizzato anche per le sue proprietà elettriche, resistenza chimica, prestazioni alle alte temperature, autoestinguenza, rapidità di stampaggio. Viene indicato anche con le sigle PET, PETE, PETP o PET-P. Il PET si decompone alla temperatura di 340 °C, con formazione di acetaldeide e altri composti.

Polistirolo (PS)

Il polistirene (chiamato anche polistirolo) è il polimero dello stirene. È un polimero aromatico termoplastico dalla struttura lineare. A temperatura ambiente è un solido vetroso; al di sopra della sua temperatura di transizione vetrosa, circa 100 °C, acquisisce plasticità ed è in grado di fluire; comincia a decomporsi alla temperatura di 270 °C. Il polistirene espanso si presenta in forma di schiuma bianca leggerissima, spesso modellata in sferette o chips, e viene usato per l’imballaggio e l’isolamento. Chimicamente inerte rispetto a molti agenti corrosivi, è solubile nei solventi organici clorurati (ad esempio diclorometano e cloroformio), in trielina, in acetone e in alcuni solventi aromatici come benzene e toluene. In forma non espansa il suo peso specifico è pari a circa 1.050 kg/m3, mentre si va da 15 kg/m3 a 100 kg/m3 nella forma espansa. È trasparente, duro e rigido. Possiede inoltre discrete proprietà meccaniche ed è resistente a molti agenti chimici acquosi. È anche un ottimo isolante elettrico per condensatori, ed è praticamente anigroscopico. Può essere facilmente colorato, sia con tinte lucide sia opache. L’aggiunta del colore può essere fatta al momento dello stampaggio, aggiungendo il pigmento direttamente nello stampo, oppure prima dello stampaggio, inglobando il pigmento nella massa del polimero prima di ridurlo in chips per lo stampaggio.

Polipropilene (PP)

Il polipropilene (o polipropene, abbreviato in PP) è un polimero termoplastico che può mostrare diversa tatticità. Il prodotto più interessante dal punto di vista commerciale è quello isotattico: è un polimero semicristallino caratterizzato da un elevato carico di rottura, una bassa densità, una buona resistenza termica e all’abrasione. La densità del polipropilene isotattico è di 900 kg/m³ e il punto di fusione è spesso oltre i 165 °C. Le proprietà chimiche, determinate in fase di produzione, comprendono la stereoregolarità, la massa molecolare e l’indice di polidispersione. Il prodotto atattico si presenta invece come un materiale dall’aspetto gommoso, e ha scarso interesse commerciale (è stato usato solo come additivo). Il propilene proviene dal cracking di raffineria e deve essere purificato da residui di acqua, ossigeno, monossido di carbonio e composti solforati che possono avvelenare il catalizzatore. Il processo avviene a 60-70 °C e 10 atm di pressione. La reazione è esotermica e l’ambiente di reazione è raffreddato da serpentine e dal monomero di alimentazione (ΔH = 25000 kJ\kg). Il propilene non reagito viene quindi rimosso e riciclato. Il prodotto isotattico viene recuperato per centrifugazione, mentre il solvente di reazione dovrebbe contenere il prodotto atattico in soluzione. Il prodotto isotattico viene quindi asciugato e additivato da stabilizzanti prima di essere esposto all’aria (la polvere è sensibile all’ossidazione atmosferica). La polvere viene quindi estrusa in pellet. Il polipropilene ha conosciuto un grande successo nell’industria della plastica: molti oggetti di uso comune, dagli zerbini agli scolapasta per fare alcuni esempi, sono fatti di polipropilene. Altri esempi di utilizzo del polipropilene sono: i cruscotti degli autoveicoli, i tappi e le etichette delle bottiglie di plastica, le reti antigrandine, le custodie dei CD, le capsule del caffè, i bicchierini bianchi di plastica per il caffè.

Poliuretano (TPU)

Con il termine poliuretano o TPU (poliuretano termoplastico) si indica una vasta famiglia di polimeri in cui la catena polimerica è costituita di legami uretanici -NH-(CO)-O-. I polimeri uretanici sono largamente impiegati nella produzione di una grande varietà di materiali. La reazione chimica per la sintesi dei poliuretani è stata scoperta in Germania tra la prima e la seconda guerra mondiale. Il primo impulso alla scoperta venne da Wurtz nel 1849: egli scoprì la formazione di un isocianato alifatico quando faceva reagire un solfato organico con un cianato. Nel 1937 il professor Otto Bayer sviluppò una nuova tecnica di polimerizzazione facendo reagire gli di-isocianati per ottenere una fibra che potesse competere con le fibre di nylon. Nel 1938, Rinke riuscì a produrre un liquido di poliuretano a bassa viscosità per ottenere delle fibre. Nel 1942, William Hanford e Donald Holmes della Du Pont de Nemours & Company, brevettarono il primo processo industriale per la produzione di poliuretano (numero brevetto 2,284,896). Tra il 1940 e il 1950, Du Pont ed ICI sviluppano tutta una serie di poliuretani. Nel 1956 la Du Pont mette in commercio il primo poliuretano I poliuretani sono ottenuti per reazione tra un di-isocianato (aromatico o alifatico) e un poliolo (tipicamente un glicole poli-propilenico o un poliestere-diolo), in presenza di catalizzatori per aumentare la velocità della reazione e di altri additivi per conferire determinate caratteristiche al materiale da ottenere; in particolare: tensioattivi (surfactants in inglese) per abbassare la tensione superficiale e quindi favorire la formazione della schiuma (nel caso di poli-uretani espansi), ritardanti di fiamma, per i settori di applicazione ove ciò è richiesto e/o agenti espandenti (nel caso in cui si vogliano produrre delle schiume poliuretaniche).

Materiali Plastici Riciclati

Le materie plastiche più diffuse sul mercato dei prodotti di consumo riciclabili sono:
• PE, polietilene: sacchetti, flaconi per detergenti, giocattoli, pellicole e altri imballi;
• PP, polipropilene, con usi diversissimi: oggetti per l’arredamento, contenitori per alimenti, flaconi per detersivi e detergenti, moquette, mobili da giardino;
• PVC, cloruro di polivinile: vaschette per le uova, film, tubi; è anche nelle porte, nelle finestre, nelle piastrelle;
• PET, polietilentereftalato: bottiglie per bevande, fibre sintetiche, nastri per cassette;
• PS, polistirene (polistirolo): vaschette per alimenti, posate, piatti, bicchieri;
La raccolta differenziata delle materie plastiche riguarda in particolare gli imballaggi, che costituiscono una percentuale rilevante della plastica contenuta nei rifiuti urbani (oltre il 50%). All’inizio, tale raccolta riguardava solo le bottiglie e i flaconi. Attualmente, si sta allargando la possibilità di riciclaggio anche di imballaggi in plastica utilizzati per gli alimenti, come sacchetti, scatole, vaschette e pellicole per imballaggi. Gli stessi sacchi in polietilene utilizzati per la raccolta differenziata vengono a loro volta riciclati. Il riciclaggio si presta particolarmente alle materie plastiche degli imballaggi. I polimeri che permettono i migliori risultati in termini di recupero sono: PET, PVC, PE. Nel caso si suddividano le diverse tipologie in modo omogeneo, si ottiene materia prima secondaria, cioè con caratteristiche tecniche e chimiche del riciclato molto simili a quelle iniziali.
Alcuni esempi di prodotti:
• con il PET riciclato: nuovi contenitori non alimentari con l’eccezione di contenitori per acque minerali e bevande analcoliche, fibre per imbottiture, maglioni, “pile”, moquette, interni per auto, lastre per imballaggi vari;
• con il PVC riciclato: tubi, scarichi per l’acqua piovana, raccordi, passacavi, prodotti per il settore edile;
• con il PE riciclato: contenitori per detergenti, tappi, film per i sacchi della spazzatura, pellicole per imballaggi, casalinghi.
Nel caso di trattamento di diversi tipi di plastica insieme, si ottiene plastica riciclata eterogenea, impiegata ad esempio per produzione di panchine, parchi giochi, recinzioni, arredi per la città, cartellonistica stradale.

Plastiche Biodegradabili

La biodegradazione è una proprietà specifica di determinati materiali plastici, ovvero dei polimeri di cui questi materiali sono fatti. È il processo attraverso il quale il materiale polimerico si decompone sotto l’influenza di microrganismi (batteri, funghi, alghe) riconoscono i polimeri come fonte di composti organici, i polimeri biodegradabili sono il loro cibo. Sotto l’influenza di enzimi degrada attraverso il processo di scissione della catena polimerica. Il risultato di questo processo, che può essere influenzato da un grande numero di enzimi differenti, generando energia e trasformandosi in acqua, anidride carbonica, biomassa ed altri prodotti di base della decomposizione biotica. Questi prodotti non sono tossici e si trovano normalmente in natura e negli organismi viventi. Il processo trasforma i materiali artificiali come la plastica in componenti naturali. Oggi le plastiche biodegradabili possono essere classificate nei seguenti gruppi:
• Plastiche derivate dall’amido
• Plastiche basate su acido polilattico (PLA)
• Plastiche basate su poli idrossi alcanoati (PHB, PHBV, etc.)
• Plastiche basate su poliesteri aromatici alifatici
• Plastiche basate sulla cellulosa (cellophane)
• Plastiche basate sulla lignina.